Abbiamo bisogno della noia.

Noia

Less is more. No?

OT: questo “articolo” si sarebbe dovuto intitolare “Abbiamo ucciso la noia” oppure “La noia è morta, e noi l’abbiamo uccisa” citando e parafrasando Nietzsche. Ma vabbè.

Il sottotitolo dice “Less is more”. È vero che è una locuzione oramai famosissima e che pare un controsenso applicata al titolo, ma non lo è. Giuro, poi vi spiego. Cosa è la noia? Cosa significa per noi “annoiarsi”? Significa perdere tempo? Essere improduttivi? Cosa? Senza andare a spulciare su Presearch, Duckduckgo o Google, non mi vengono in mente altre idee per descrivere la noia. Una parte romantica di me direbbe “bhe perchè forse è proprio questa la noia, è qualcosa di poco o nulla”. Ora, presa coscienza che questa parte romantica di me è palesemente pazza in quanto quanto appena detto è completamente senza senso, una cosa forse possiamo tenere, mantenere e riproporre (meglio) di questa esternazione: la noia è qualcosa.

Pare una tautologia, è vero, la noia è qualcosa, qualcosa che esiste; bene, vero, ok. Sorvoliamo leggiadramente su tutte le implicazione ontologiche in merito al concedere lo status di “cosa”, di ente ad un sentimento(?) o ad una sensazione(?) e fermiamoci a pensare a cosa, nella vita di tutti i giorni, significhi essere qualcosa. Cosa significa nella nostra ordinata, decifrabile, calcolata vita essere qualcosa? Significa (lapalissianamente) esistere. E che implicazione ha questo esistere?

Ho volutamente usato gli aggettivi di ordinata, decifrabile e calcolata per indicare la vita quotidiana dell’essere umano standard (eus da qui in avanti; magari non lo utilizzerò più, ma mi piace creare acronimi) in quanto è su questi termini e costrutti che l’epoca moderna ha costruito se stessa. Il discorso qua sta per allargarsi e precipitare: teniamoci forte. Non starò ad introdurre o cercare dati, quanto sto per descrivere è un sentimento e una descrizione molto comune in merito al nostro ordinamento societario: il capitalismo impone la perenne crescita del capitale, sociale o monetario che sia. L’uomo all’interno della società del terzo millennio deve competere con altri della propria specie per costruire e sostentare quelle risorse di cui egli stesso si è reso schiavo. Internet e il denaro, entrambi prodotti umani, hanno assoggettato ed ammaestrato la scimmia a dover sempre correre per raggiungere prima del branco con cui compete, ma da cui allo stesso dipende, al finito cesto di frutta. Ecco, “finito”, questa è la chiave di volta dell’idea capitalista. Il nostro mondo è finito ma pretendiamo di agire in esso come se non lo fosse; la crescita deve essere perenne, costante, alimentata da un irrefrenabile e minuzioso limaggio di sprechi e di fallimenti. Una prospettiva non propriamente allettante.

Ecco, mettiamo ora da parte i modi della critica sociale e concentriamoci su quello che è il concetto di corsa e competizione. Come esseri, come sostanze incarnate, plasmiamo il mondo ontologico attorno a noi per soddisfare i nostri fini; questo opera di modellazione comprende anche la scelta di cosa/quali risorse finite allocare per raggiungere i nostri obiettivi, sempre secondo l’eus in un ottica di costi/benefici.

Ma la noia, che abbiamo detto sopra possedere stato ontologico, è un costo o un beneficio? Se dobbiamo tenere conto di quanto affermato poco sopra in merito alle finalità e alle modalità di agire della società del terzo millennio, la noia è forse uno dei più grossi buchi-costo-neri di tempo. La noia è antitesi della produttività. È un vaso di terriccio avvelenato dentro cui piantare un fiore; puoi usarlo, ma è dannoso per te (fiore).

E allora perchè ne abbiamo bisogno? Perchè avere meno, la noia, significa allo stesso tempo avere di più? Risposta breve? Perchè la noia è forse al cosa più personale che abbiamo. Risposta lunga? Fino ad ora ho parlato, a livello “umano” solo e soltanto di società. Ma la noia è personale, vero, ma la è la società che definisce il nostro “potenziale d’agire”, ovvero è all’interno della società in cui ci muoviamo che sviluppiamo questa stessa possibilità di trasformarci in Atto. Ma la società, per quanto incubatore del nostro agire, agisce anche lei a sua volta, e abbiamo visto in che direzione questa tende e tende a tendere i suoi incubati. Se il nostro agire è “solo” frutto della sovrastruttura in cui ci è concesso esistere, l’unica cosa che ci rimane è il non agire. Lo stare fermi, il non scegliere, l’essere buchi neri di intenzionalità, questo fa di noi degli outsider della società e come tali, non trovando appiglio in essa, soli con noi stessi. Ecco, noi e la noia. Noi e la nostra più intima descrizione.

Work in progress…